Vero o falso? Sempre più spesso ci poniamo questa domanda, quando “leggiamo” una fotografia. Domanda legittima, che di per sé è valida nell’accezione comunicativa di uno scatto. Ma cosa c’è di genuino in una fotografia? Certamente la materia di ripresa, che in un modo o nell’altro è riprodotta su pellicola o sensore ed è realmente esistente, davvero di fronte a noi e all’obiettivo. Poi quello che succede dopo, in fase di post-produzione, è tutt’altra storia.
Dal momento in cui la luce scrive i contorni del soggetto sull’emulsione o il sensore digitale, cambia tutto; di fatto già l’obiettivo è un tunnel che deforma l’immagine e la realtà stessa, secondo gli schemi delle lenti al suo interno. Dopo ciò parte la post-produzione, l’immagine viene sviluppata, corretta laddove ci siano delle migliorie da effettuare, ed eventualmente modificata. Alla fine di tutto questo, il fotogramma viene allestito per la stampa, subendo un ulteriore preparazione in base al supporto che verrà utilizzato. Questa evoluzione avviene ora, così come avveniva all’epoca dei rullini e le lastre fotografiche. Cambiano solo gli strumenti.
Prendiamo come esempio la famosissima fotografia scattata da Robert Capa, che ritrae il soldato che cade in battaglia colpito da un proiettile. E’ un’immagine altamente impressiva e simbolica e si fa fatica a credere possa essere reale. Un colpo di fortuna oltre che di fucile diranno molti; un’immagine studiata appositamente, sosterranno altri, ma per qualcun altro quella foto è invece pura bravura del fotografo nel premere il pulsante di scatto nell’istante infinitamente breve in cui la pallottola colpisce l’infausto soldato. Dunque, questo dimostra che in fotografia la stessa azione può non essere autentica. Potrebbe benissimo essere costruita a tavolino. Alcune persone dubitano infatti
della sua veridicità. Fondamentale è non mostrare gli “artefatti”.
Ciò che è fondamentale perché un’immagine sia comunicativa rimane il messaggio che l’autore vuole portare agli occhi dell’osservatore, sia esso costruito o una reale scena catturata nel posto giusto al momento giusto. La post-produzione poi distorce ulteriormente lo scatto, lo migliora, lo modifica, ne fa un’altra immagine, ma conoscendo lo strumento, che sia esso Photoshop o una camera oscura, dobbiamo riconoscere che abbiamo infinite possibilità, grazie a questi mezzi, di spiegare all’osservatore cosa volevamo comunicargli con quella foto. E’ un procedimento necessario.
Penso che la fotografia digitale abbia soltanto amplificato tutto questo, e portato la post-produzione fotografica nelle case di ognuno, nelle tasche, grazie ai cellulari moderni. Sta a noi fotografi utilizzare nella maniera corretta questi strumenti, per far sì che quello che abbiamo pensato di mostrare, sia perfetto e indiscutibile. Ma ci devono essere dei presupposti per far questo, poiché Photoshop, in quanto strumento, necessita una conoscenza approfondita dello stesso, per poterlo condurre al massimo della sua potenza. Troppo spesso cade in mani sbagliate. E si creano orrori fotografici.