Dopo esservi guardati un po’ di fotografie di vecchi e ciccioni spiaggiati immortalati dal nostro buon Martin Parr (vedi articolo precedente), vediamo cosa vuol dire “vedere fotograficamente”.
Su questo argomento posso raccontare la mia esperienza personale. Dato che ogni fotografo ha la propria visione del mondo parallelo fotografico. Per me è questo:
Il famoso mondo parallelo, non appare sempre, non è costante e non può essere mischiato con la realtà che vivo. Spesso appare ai miei occhi quando meno me lo aspetto. Oppure lo vado a cercare. Talvolta non arriva per giorni. Ma quando arriva, cosa accade? Non lo so. Forse mi estraneo dalla realtà, lo sguardo si fissa sulla scena che vorrei scattare e in quei momenti la gente che è con me mi perde per strada o parla e io non sento più nulla. La cosa assurda è che queste “visioni” appaiono la maggior parte delle volte quando non ho il mezzo in mano, quando sono senza una macchina fotografica. Quando ho la fotocamera a disposizione è come se diventassi ingordo di immagini e scatto anche quando non sono entrato in sintonia con il mio mondo a parte. Il risultato a volte è tornare a casa, scaricare la scheda sul computer, e sapere che la maggior parte di quelle che ho scattato oggi non sono delle “buone” fotografie”. Ma più che vado avanti con lo studio delle mie immagini, questo accade sempre più raramente. Ritengo fondamentale studiare le proprie fotografie. Soprattutto molto tempo dopo averle scattate. Vedrete che l’editing del lavoro cambierà totalmente. Così come la percezione di esso. E forse così possiamo avere uno specchio di quello che era veramente la scena scattata.
Ma questo è un breve estratto del mio piccolo mondo di fotografo che di strada ne deve fare ancora tanta e imparare moltissimo.
Pensiamo invece ai grandi. Ad uno come James Nachtway, che con la sua fotografia racconta la guerra. A tanti sembreranno fotografie documentaristiche del nostro mondo, e per carità non voglio dire il contrario. I conflitti che lui fotografa sono veri e sono qui, adesso. Ma cosa spinge James Nachtway ad andare in guerra, rischiare la propria vita per qualche scatto venuto bene? Io credo che sia proprio l’incoscienza trascinata dal suo mondo parallelo. E’ molto probabile che lui viva la vita di tutti gli altri ogni giorno, ma quando si ritrova in guerra, si attiva il suo mondo personale, la sua visione privata e differente dei fatti. Che manda in tilt tutto il resto e muove solo il dito indice che scatta su bombe, guerriglieri e pallottole che gli passano tra i capelli grigi e lunghi. Come se quella che ha tra le mani non fosse una macchina fotografica, ma un fucile, e quello che preme, il grilletto che gli permetta di stare allo scoperto senza farsi uccidere.
C’è infatti un video che fa parte del documentario “War photographer”, che trovate facilmente su youtube , in cui James sta scattando in una zona in cui si sta combattendo un conflitto fittissimo, pallottole che volano di qua e di là, e lui è seduto a terra accanto a dei guerriglieri. D’un tratto si vede chiaramente una pallottola che schizza in mezzo ai capelli del fotografo. Ma lui, imperterrito rimane li, comprende per qualche istante che è ancora in vita e che gli è appena passata una pallottola a circa 3 millimetri dal cranio. E continua a scattare. Impressionante. Da brividi.
Tutto ciò significa soltanto una cosa. Il bravo fotografo, non è quello che mette bene in pratica la teoria che ha imparato. Il bravo fotografo nasce tale. Con quella parte di se, che viene fuori appositamente per farti scattare fotografie memorabili. C’è chi la trova, chi no, chi sa di averla ma non riesce ad esprimerla. Il dono della fotografia, che supera i limiti umani.